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Uva Ciminnita

Breve storia dell’Uva Ciminnita, ritrovata per caso a Ciminna, dopo 128 anni dalla sua sparizione causata dalla Fillossera, un piccolissimo insetto arrivato dall’America del nord nella seconda metà dell’800.

Nell’arco di tempo di 30 anni, questo insetto, fu capace di distruggere l’80% di tutti i vitigni europei e fra questi, quelli che ebbero maggiori danni furono la Francia e l’Italia che già allora erano i maggiori produttori di vino.

Per testimonianza di Fazzello, Villabianca ed altri scrittori, Ciminna era famosa per la quantità e la qualità dei vini.

Lo scrittore Vito Amico nel Lexicon topographicum stampato a Catania nel 1754 disse:

“Ciminnensis foecunditas celebris habetur, sed vineis praecipue illius terrae – Baccho gratissimae evadunt”

e l’Abbate Francesco Sacco nel suo Dizionario geografico, stampato nel 1819, scrisse: “esporta vino” e ciò viene confermato da Carlo Vanzon nel suo Dizionario universale della lingua italiana edito nel 1840 dove dice che “la cultura della vite si praticava nelle Contrade Santa Caterina, Pizzo della Monica, Serre, Cassone, Cernuta, Pizzo, Maragliano, San Pantaleo, San Filippello, Pistolena, Bardaro e nel territorio di Villafrati in Contrada Capezzana, di proprietà di ciminnesi.

La quantità del prodotto era talmente tanta che a volte succedeva che non avendo a disposizione le Botti per depositare il mosto, i contadini erano costretti a lasciarlo nel palmento ed a venderlo a 3 grani al quartuccio (misura dell’epoca che corrispondeva a meno di un litro).

Infine, l’Uva ciminnita era talmente rinomata che veniva trasportata e venduta nei Comuni della Provincia di Palermo.”

Scrive il Dr. Vito Graziano nella pubblicazione Ciminna: Memoria e documenti: “Era un’uva dagli acini bislunghi ed il vino prodotto, veniva chiamato Prunesta, perché il mosto di colore rosso, era formato dall’unione dell’uva ciminnita (uva bianca da tavola) e l’uva Prunesta (di colore rosso bruno) ancora oggi in produzione.

Questa singolare varietà di bacca bianca, descritta per la prima volta alla fine del Seicento, prende il nome da Ciminna, località del Palermitano dove sembra si sia diffuso dopo l’importazione dal mediterraneo orientale, ad opera dei Padri Cappuccini.

Considerando che l’uva Ciminnita è identica all’uva Bianco Cipro, che fra l’altro, dopo accurate ricerche attraverso amici ciprioti, oggi non esiste più in quell’isola, si può presumere che i Monaci Cappuccini portarono questo vitigno proprio da Cipro verso la fine del 1500, quando furono costretti ad andarsene dall’isola, conquistata dai musulmani.

È un’uva che ha come peculiarità quella di maturare molto tardi (a fine ottobre) e di conservarsi perfettamente sulla pianta fino ad oltre natale grazie alla  buccia spessa e la polpa dura e croccante.

Nella foto che abbiamo pubblicato, si può notare che è quasi matura, perché le bacche sono per metà di colore verde e l’altra  di colore giallo/rossiccio.

Attualmente esiste il suo clone presso il Centro Ricerche di Locorotondo (Bari) – Centro di Studi e Sperimentazioni in Agricoltura “Basile Caramia” – Dipartimento di protezione delle piante e microbiologia applicata dell’Università di Bari. Questo clone che si chiama appunto “Ciminnita bianca”.

È stato inserito nell’Albo Nazionale dei vitigni con Decreto Ministeriale del 23 giugno 2008 – modificazione al registro nazionale delle varietà di vite, pubblicato nella (Gazzetta Ufficiale al N. 194 del 20 agosto 2008 alla sezione II – Vitigni da uva da tavola – al N. 510 Clone I-CRSA 156).

Il vitigno ha le foglie di forma orbicolare, con 3 lobi di forma peziolare aperto sagomato a V. Il vitigno ha un autosterile, per cui per produrre bene ha bisogno di una fecondazione incrociata, con stami riflessi.

Come piante impollinatrici si consigliano viti di Lacrima di Maria o altre varietà a fioritura tardiva. In atto esistono coltivazioni per parecchi ettari di questo clone, utilizzato dalle grandi aziende vinicole per tagliare i mosti per la produzione dei vini. Fra queste la Regaleali in Sicilia. L’ultimo censimento della produzione disponibile e risalente al 1981 fu di 32.500 quintali.

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