A ‘NTINNA, un rito e un evento festivo che si svolge in concomitanza con le celebrazioni in onore di San Francesco di Paola che hanno luogo il giorno del 25 aprile. Non si conosce la data certa della prima edizione, da collocare comunque dopo il 1945.
Il termine ‘ntinna non viene usato per descrivere un elemento particolare presente nel gioco come potrebbero essere ad esempio le pertiche che sostengono la fune o la fune stessa e nemmeno i vasi di terracotta (presenti in numero di dieci unità circa).
Il contenuto dei vasi da colpire (prodotti gastronomici e indumenti) sarà il premio che il giocatore bendato, dotato di bastone e situato a cavalcioni sul dorso di un asino, dovrà conquistare tra l’ilarità e le frasi d’incitamento del pubblico. Durante la manifestazione vengono inoltre lanciati ai presenti centinaia di sacchetti contenenti confetti, dolciumi e frutta secca.
Non si registrano attualmente particolari interventi di tutela e/o di valorizzazione del patrimonio segnalato. La ‘ntinna viene reiterata annualmente per esclusiva iniziativa del Comitato dei festeggiamenti in onore di San Francesco di Paola.
Ha una valenza prevalentemente ludico-ricreativa. La celebrazione del rito festivo e della ‘ntinna durante la stagione primaverile, nonché la presenza di alimenti quali frutta secca e confetti, fanno supporre un probabile collegamento con gli antichi riti di propiziazione e di rinascita.
La trasmissione dell’evento è avvenuta nel tempo esclusivamente a mezzo orale e tramite i portatori di cultura più anziani.
L’organizzazione è a cura del Comitato in onore dei festeggiamenti di San Francesco di Paola e grazie ai proventi ricavati da una questua.
Alla realizzazione dei festeggiamenti collaborano i residenti del quartiere del paese. Esso è denominato “di San Francesco di Paola” ed è il luogo in cui è situata la chiesa dedicata al santo.
Leonarda Brancato
Dal libro: Santi, Miti e Bastoni: il rito della ‘Ntinna ciminnese e la beffa dell’eroe
di Leonarda Brancato
Edizioni Thule, anno 2021
(…) Appresso che furono andati tutti in chiesa, si fece sera e s’avvicinava il momento dell’antinna. I primi ad arrivare nella piazzetta furono i musicanti. Le campane della chiesa non la finivano più di suonare. Arrivava altra gente. Fu subito piena la piazzetta, e c’erano anche Mastro Iaco e nipote. Le pentole, dieci pentole, pendevano dalla grossa corda legata alle estremità a due balconi che si guardavano di faccia nella piazzetta. Le pentole, ben chiuse, portavano il peso di tanto ben di Dio: pasta, pane, scatole di carne e di caponata, salsiccia, formaggio, una colomba, due conigli, un gallo, almeno venti sigarette, cinquemila lire in biglietti da mille; e acqua in una e cenere in un’altra che dovevano, s’aspettavano tutti, colpire in pieno l’uomo mascherato.
(…) Fu in questo momento che Bastiano riuscì a lasciare inosservato la piazzetta e correre come il vento verso una vicina stalla. In un lampo si cambiò vestito. Un uomo gli chiuse la testa dentro ad un sacco un po’ tagliato all’altezza della bocca e del naso. Un altro lo bendò lo stesso agli occhi con un grande fazzoletto rosso. Fu fatto salire in groppa all’asino. Reggeva in mano un grosso bastone. Partirono tutti lestamente. Al boato d’applausi e grida, il prenditore alzò in aria il bastone e l’agitava che pareva una spada in lotta contro un mostro con dieci teste: cercava già le pentole per sfasciarle con colpi da vero guerriero.
(…) Un colpo di bastone, col prenditore tutto proteso in alto in uno sforzo sovrumano, centrava la prima pentola frantumandola. Ne uscì un coniglio bianco con gli occhi rossi legato a testa in giù. La folla applaudì. La banda suonò con più animo. Il prenditore sferrò, invano, altri corpi. Ad un fischio si fermò. Due con la scala corsero a prendere il coniglio. Riprendeva la battaglia.
(…) Bam! Si sentì cupo un altro colpo di bastone che colpiva la quarta pentola. Tutti gli occhi videro una colomba uscire dalla pentola aperta e volare in alto felice d’avere trovato la libertà. Volò solo per pochi metri: un filo di spago la tratteneva con insistenza.
(…) Mastro Iaco spiegava al nipote il significato dell’antinna.
“È un senso però che ho trovato io,” diceva. “L’antinna ricorda il duro lavoro per avere il pane e la vita.”
“Ma se vuole dire questo,” l’interruppe Iachino, “perché il prenditore si deve mascherare?”
“Si maschera perché il lavoro è una lotta e c’è la vergogna a manifestarlo a viso aperto. Le risate, poi, che si fanno servono per fare dimenticare la serietà e la sofferenza del lavoro.”
Bam! Si rompeva un’altra pentola: come una secchiata d’acqua cadde sul prenditore bagnandolo tutto. L’asino ragliò. La gente rise.
“L’acqua, e la cenere che prenderà,” continuò mastro Iaco, “rappresentano le insidie e le mali annate.”
Iachino lo guardava interessato. Quelle parole lo convincevano. Il gioco dell’antinna gli parve, d’un colpo, più importante.
(…) Cadeva un’altra pentola. Simile ad una strana pianta di tanti colori spuntò che pendeva nell’aria: più fili di spago portavano attaccati più d’un metro di salsiccia, un sacchetto di pasta, dello scatolame, del formaggio a pezzi e delle foglie di alloro.
(…) C’erano ancora due pentole. La banda riprese a suonare. Cadde la prima e cadde la seconda pentola in successione veloce. Finiva la lunga battaglia. Il fiero prenditore usciva vittorioso a cavallo tra gli applausi e qualche fischio. (…)
Dal libro: Notte lunga – Mastro Iaco Filotorto il cretaro
di Salvatore Ribaudo
(Casa Editrice D.L.M., 2000)
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